2.6.8. Gli immobili utilizzati dagli enti non commerciali

   

In materia di imposta comunale sugli immobili (ICI), l’esenzione che ha suscitato maggiore interesse da parte del legislatore e sulla quale si è formata una copiosa giurisprudenza è, senza dubbio, quella disciplinata dalla lettera i) del comma 1 dell’art. 7 del decreto legislativo n. 504 del 1992 (richiamata per l’imposta municipale propria dal secondo periodo del comma 8 dell’art. 9 del decreto legge n. 201 del 2011).

Molto probabilmente, attesa la uguaglianza della norma, lo stesso trend si registrerà anche per l’imposta municipale propria.

La disposizione in oggetto prevede l’esenzione dal pagamento dell’imposta per gli immobili utilizzati dagli enti che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di un’attività commerciale (art. 73, comma 1, lettera c), del TUIR), destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali (le parole “con modalità non commerciali” sono state aggiunte dall’art. 91bis del decreto legge n. 1 del 2012) di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive nonché alle attività, previste dall’art. 16, comma 1, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222, di religione e di culto dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi e all’educazione cristiana.

Come stabilito dall’art. 11bis del decreto legge 28 dicembre 2013, n. 149 convertito dalla legge 21 febbraio 2014, n. 13, l’esenzione non si applica agli immobili posseduti da partiti politici, che restano comunque assoggettati all’imposta indipendentemente dalla destinazione d’uso dell’immobile.

Ai fini del riconoscimento dell’esenzione indicata nella lettera i), è necessario che sussistano contemporaneamente entrambi i requisiti, quello soggettivo dell’utilizzo dell’immobile da parte di un ente pubblico o privato, diverso dalle società, residente in Italia, che non abbia per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di un’attività commerciale e, quello oggettivo della destinazione esclusiva dell’immobile allo svolgimento di una delle attività tassativamente indicata nella norma. In mancanza di uno di detti requisiti, non è possibile beneficiare dell’esenzione in oggetto.

Per quanto concerne il requisito soggettivo, la circolare 26 gennaio 2009, n. 2/DF(143) ha chiarito che rientrano nei predetti soggetti:

“� gli enti pubblici, vale a dire gli organi e le amministrazioni dello Stato; gli enti territoriali (comuni, consorzi tra enti locali, comunità montane, province, regioni, associazioni e enti gestori del demanio collettivo, camere di commercio); le aziende sanitarie e gli enti pubblici istituiti esclusivamente per lo svolgimento di attività previdenziali, assistenziali e sanitarie; gli enti pubblici non economici; gli istituti previdenziali e assistenziali; le Università ed enti di ricerca; le aziende pubbliche di servizi alla persona (ex IPAB);

� gli enti privati, cioè gli enti disciplinati dal codice civile (associazioni, fondazioni e comitati) e gli enti disciplinati da specifiche leggi di settore, come, ad esempio: le organizzazioni di volontariato (legge 11 agosto 1991, n. 266); le organizzazioni non governative (legge 26 febbraio 1987, n. 49, art. 5); le associazioni dì promozione sociale (legge 7 dicembre 2000, n. 383); le associazioni sportive dilettantistiche (art. 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289); le fondazioni risultanti dalla trasformazione degli enti autonomi lirici e delle istituzioni concertistiche assimilate (D.Lgs. 23 aprile 1998, n. 134); le ex IPAB privatizzate (a seguito, da ultimo, dal D.Lgs. 4 maggio 2001, n. 207); gli enti che acquisiscono la qualifica fiscale di Onlus (D.Lgs. 4 dicembre 1997, n. 460)”. Nell’ambito degli enti privati non commerciali vanno ricompresi anche “gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti secondo le previsioni dell’Accordo modificativo del Concordato Lateranense (legge 25 marzo 1985, n. 121 per la Chiesa cattolica) e delle intese tra lo Stato italiano e le altre confessioni religiose (ad esempio: legge 11 agosto 1984, n. 449, per la Tavola valdese; legge 22 novembre 1988, n. 516, per l’Unione italiana delle chiese cristiane avventiste del 7° giorno; legge 22 novembre 1988, n. 517, per le Assemblee di Dio in Italia - ADI; legge 8 marzo 1989, n. 101, per le Comunità ebraiche italiane; legge 12 aprile 1995, n. 116, per l’Unione cristiana evangelica battista d’Italia - UCEBI; legge 29 novembre 1995, n. 52 per la Chiesa evangelica luterana d’Italia-CELI)”.

Per quanto riguarda il requisito oggettivo, invece, la stessa prassi amministrativa e la giurisprudenza di legittimità (in maniera pressoché univoca) hanno affermato l’obbligatorietà che:

- venga svolta una delle attività enumerate dalla norma;

- l’attività non deve avere natura commerciale;

- l’immobile deve essere destinato esclusivamente (e non parzialmente) allo svolgimento delle predette attività.

Per poter beneficiare dell’esenzione in oggetto, infatti, non è sufficiente la semplice previsione dell’attività non lucrativa inserita nello statuto dell’ente non commerciale, in quanto bisogna accertare, di volta in volta, il mancato svolgimento di un’attività commerciale (tra le altre, Corte di Cassazione, sez. trib., 10 novembre 2010, n. 22894(144); Corte di Cassazione, sez. trib., 15 novembre 2007, n. 23703(145); Corte di Cassazione, sez. trib., 26 ottobre 2005, n. 20776(146) e Corte di Cassazione, sez. trib., 13 maggio 2005, n. 10092(147)). In particolare, non spetta l’esenzione ad un immobile adibito a complesso sportivo nel quale vengono svolte anche attività commerciali quali bar, ristorante, golf-shop (Corte di Cassazione, sez. trib., 20 maggio 2005, n. 10646(148)) “È peraltro del tutto errato affermare - per escludere evidentemente il carattere commerciale - che l’attività svolta dall’Istituto non eccede i costi relativi alla produzione del servizio. Infatti, ha carattere imprenditoriale l’attività economica, organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi ed esercitata in via esclusiva o prevalente, che sia ricollegabile ad un dato obiettivo inerente all’attitudine a conseguire la remunerazione dei fattori produttivi, rimanendo giuridicamente irrilevante lo scopo di lucro, che riguarda il movente soggettivo che induce lo imprenditore ad esercitare la sua attività” (Corte di Cassazione, sez. trib., 29 febbraio 2008, n. 5485(149)).

La stessa Corte (Corte di Cassazione, sez. trib. 24 febbraio 2012, n. 2821(150)), in merito agli immobili utilizzati dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio, ha affermato che sono esenti soltanto quelli direttamente adibiti all’esercizio dell’attività sportiva. Infatti, il richiamo alle “attività sportive”, contenuto nella lettera i) dell’art. 7 del decreto legislativo n. 504 del 1992, deve essere inteso nel senso, imposto dalla ratio e dal carattere eccezionale della norma, che nell’immobile sia effettivamente (oltre che esclusivamente) realizzata un’attività consistente, in via diretta e non mediata, nella pratica - a scopo ricreativo o agonistico - di uno sport; non essendo, quindi, sufficiente l’esercizio di attività strumentali, di tipo organizzativo o gestionale.

Pertanto, l’esenzione spetta soltanto ai luoghi dove si svolgono le attività sportive (stadi, campi) ma non agli altri immobili, ad esempio gli uffici, della FIGC. Per la stessa FIGC, inoltre, risulta assente anche il requisito soggettivo in quanto trattasi di una società avente scopo di lucro.

 

Ai fini del riconoscimento della esenzione, il comma 1 dell’art. 91bis del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, ha previsto che lo svolgimento delle attività enumerate nella lettera i) dell’art. 7 del decreto legislativo n. 504 del 1992 deve avvenire “con modalità non commerciali”. Successivamente (ai commi 2 e 3), ha disciplinato l’applicazione in caso di utilizzazione mista dell’immobile stabilendo che:

-  l’esenzione “si applica solo alla frazione di unità nella quale si svolge l’attività di natura non commerciale, se identificabile attraverso l’individuazione degli immobili o porzioni di immobili adibiti esclusivamente a tale attività. Alla restante parte dell’unità immobiliare, in quanto dotata di autonomia funzionale e reddituale permanente, si applicano le disposizioni dei commi 41, 42 e 44 dell’art. 2 del decreto legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286 (si veda l’appendice normativa). Le rendite catastali dichiarate o attribuite in base al periodo precedente producono effetto fiscale dal 1° gennaio 2013”;

- nel caso in cui non sia possibile la suddetta identificazione, “a partire dal 1° gennaio 2013, l’esenzione si applica in proporzione all’utilizzazione non commerciale dell’immobile quale risulta da apposita dichiarazione. Con successivo decreto del Ministro dell’economia e delle finanze da emanarsi ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge 17 agosto 1988, n. 400 entro sessanta giorni dalla conversine del presente provvedimento, sono stabilite le modalità e le procedure relative alla predetta dichiarazione e gli elementi rilevanti ai fini dell’individuazione del rapporto proporzionale”. Il 5 settembre 2012, con proprio comunicato stampa n. 120, il Ministero dell’economia e delle finanze ha informato di aver trasmesso lo schema di regolamento al Consiglio di Stato per il prescritto parere e di aver inviato ai servizi della Commissione europea la risposta puntuale alla richiesta di informazioni dalla stessa avanzata (caso C26/2010). Con lo stesso comunicato stampa è stato anche ricordato che la disposizione del primo comma dell’art. 91bis, che precisa che sono esenti soltanto gli immobili utilizzati dagli enti non commerciali “destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali” delle attività istituzionali, è già in vigore, senza necessità di ulteriori provvedimenti attuativi. Il Consiglio di Stato, ricevuto lo schema di regolamento, lo ha bocciato in quanto con lo stesso il Ministero non si è limitato a stabilire “le modalità e le procedure relative alla predetta dichiarazione e gli elementi rilevanti ai fini dell’individuazione del rapporto proporzionale” (come prescritto dalla norma) ma, per agevolare l’applicazione della disposizione legislativa, ha anche definito gli elementi rilevanti per la qualificazione delle attività come svolte con modalità non commerciali. A seguito della bocciatura da parte del Consiglio di Stato, il legislatore, ritenuto opportuno che fossero definiti i predetti elementi, ha provveduto (articolo 9, comma 6, del decreto legge 10 ottobre 2012, n. 174) a modificare il terzo comma dell’articolo 91bis del decreto legge n. 1 del 2012 stabilendo che con il predetto regolamento ministeriale devono essere stabiliti anche “i requisiti, generali e di settore, per qualificare le attività di cui alla lettera i) del comma 1 dell’articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, come svolte con modalità non commerciali”. Il regolamento è stato successivamente approvato con il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 19 novembre 2012, n. 200 e lo stesso articolo 9 del decreto legge n. 174 del 2012, al comma 6ter ha chiarito che “Le disposizioni di attuazione del comma 3 dell’articolo 91-bis del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, come modificato dal comma 6 del presente articolo, sono quelle del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 19 novembre 2012, n. 200” mentre al comma 6quinquies ha previsto che “In ogni caso, l’esenzione dall’imposta sugli immobili disposta dall’articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, non si applica alle fondazioni bancarie di cui al decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153”.

 

 

Ministero dell’economia e delle finanze

Decreto 19 novembre 2012, n. 200

(in G. U. n. 274 del 23 novembre 2012)

 

Oggetto Regolamento da adottare ai sensi dell’articolo 91-bis, comma 3, del Decreto-Legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla Legge 24 marzo 2012, n. 27 e integrato dall’articolo 9, comma 6, del Decreto-Legge 10 ottobre 2012, n. 174.

Art. 1
Definizioni

1. Ai fini del presente regolamento si intende per:

a) IMU: l’imposta municipale propria, di cui all’articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 e agli articoli 8 e 9 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23;

b) TUIR: decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, recante il Testo unico delle imposte sui redditi;

c) enti non commerciali: gli enti pubblici e privati diversi dalle società di cui all’articolo 73, comma 1, lettera c), del TUIR, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale;

d) oggetto esclusivo o principale: per oggetto esclusivo si intende quello determinato in base alla legge, all’atto costitutivo o allo statuto, se esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata; per oggetto principale si intende l’attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall’atto costitutivo o dallo statuto; in mancanza dell’atto costitutivo o dello statuto nelle predette forme, l’oggetto principale dell’ente stesso è determinato in base all’attività effettivamente esercitata nel territorio dello Stato;

e) immobili: tutti i terreni e i fabbricati posseduti e utilizzati dagli enti non commerciali;

f) attività assistenziali: attività riconducibili a quelle di cui all’articolo 128 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia;

g) attività previdenziali: attività strettamente funzionali e inerenti all’erogazione di prestazioni previdenziali e assistenziali obbligatorie;

h) attività sanitarie: attività dirette ad assicurare i livelli essenziali di assistenza definiti dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29 novembre 2001;

i) attività didattiche: attività dirette all’istruzione e alla formazione ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53;

j) attività ricettive: attività che prevedono l’accessibilità limitata ai destinatari propri delle attività istituzionali e la discontinuità nell’apertura nonché, relativamente alla ricettività sociale, quelle dirette a garantire l’esigenza di sistemazioni abitative anche temporanee per bisogni speciali, ovvero svolte nei confronti di persone svantaggiate in ragione di condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari, escluse in ogni caso le attività svolte in strutture alberghiere e paralberghiere di cui all’articolo 9 del decreto legislativo 23 maggio 2011, n. 79;

k) attività culturali: attività rivolte a formare e diffondere espressioni della cultura e dell’arte;

l) attività ricreative: attività dirette all’animazione del tempo libero;

m) attività sportive: attività rientranti nelle discipline riconosciute dal Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) svolte dalle associazioni sportive e dalle relative sezioni non aventi scopo di lucro, affiliate alle federazioni sportive nazionali o agli enti nazionali di promozione sportiva riconosciuti ai sensi dell’articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289;

n) attività di cui all’articolo 16, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222: attività dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana;

o) attività istituzionali: le attività di cui alle lettere da f) a n) del presente articolo, volte alla realizzazione di fini di utilità sociale;

p) modalità non commerciali: modalità di svolgimento delle attività istituzionali prive di scopo di lucro che, conformemente al diritto dell’Unione Europea, per loro natura non si pongono in concorrenza con altri operatori del mercato che tale scopo perseguono e costituiscono espressione dei principi di solidarietà e sussidiarietà;

q) utilizzazione mista: l’utilizzo dello stesso immobile per lo svolgimento di una delle attività individuate dall’articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo n. 504 del 1992, con modalità non commerciali, unitamente ad attività di cui alla stessa lettera i) svolte con modalità commerciali, ovvero ad attività diverse da quelle di cui al medesimo articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo n. 504 del 1992.

Art. 2
Oggetto

1. Le disposizioni del presente regolamento sono dirette a stabilire, ai sensi dell’articolo 91-bis, comma 3, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, le modalità e le procedure per l’applicazione proporzionale, a decorrere dal 1º gennaio 2013, dell’esenzione dall’IMU per le unità immobiliari destinate ad un’utilizzazione mista, nei casi in cui non sia possibile procedere, ai sensi del comma 2 del citato articolo 91-bis, all’individuazione degli immobili o delle porzioni di immobili adibiti esclusivamente allo svolgimento delle attività istituzionali con modalità non commerciali.

Art. 3
Requisiti generali per lo svolgimento con modalità non commerciali delle attività istituzionali

1. Le attività istituzionali sono svolte con modalità non commerciali quando l’atto costitutivo o lo statuto dell’ente non commerciale prevedono:

a) il divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili e avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell’ente, in favore di amministratori, soci, partecipanti, lavoratori o collaboratori, a meno che la destinazione o la distribuzione non siano imposte per legge, ovvero siano effettuate a favore di enti che per legge, statuto o regolamento, fanno parte della medesima e unitaria struttura e svolgono la stessa attività ovvero altre attività istituzionali direttamente e specificamente previste dalla normativa vigente;

b) l’obbligo di reinvestire gli eventuali utili e avanzi di gestione esclusivamente per lo sviluppo delle attività funzionali al perseguimento dello scopo istituzionale di solidarietà sociale;

c) l’obbligo di devolvere il patrimonio dell’ente non commerciale in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altro ente non commerciale che svolga un’analoga attività istituzionale, salvo diversa destinazione imposta dalla legge.

Art. 4
Ulteriori requisiti

1. Fatti salvi i requisiti enunciati all’articolo 3, le attività istituzionali di seguito indicate si intendono svolte con modalità non commerciali solo ove, in relazione alla loro natura, presentino gli ulteriori requisiti di cui ai commi seguenti.

2. Lo svolgimento di attività assistenziali e attività sanitarie si ritiene effettuato con modalità non commerciali quando le stesse:

a) sono accreditate e contrattualizzate o convenzionate con lo Stato, le Regioni e gli enti locali e sono svolte, in ciascun ambito territoriale e secondo la normativa ivi vigente, in maniera complementare o integrativa rispetto al servizio pubblico, e prestano a favore dell’utenza, alle condizioni previste dal diritto dell’Unione europea e nazionale, servizi sanitari e assistenziali gratuiti, salvo eventuali importi di partecipazione alla spesa previsti dall’ordinamento per la copertura del servizio universale;

b) se non accreditate e contrattualizzate o convenzionate con lo Stato, le Regioni e gli enti locali, sono svolte a titolo gratuito ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e, comunque, non superiore alla metà dei corrispettivi medi previsti per analoghe attività svolte con modalità concorrenziali nello stesso ambito territoriale, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con il costo effettivo del servizio.

3. Lo svolgimento di attività didattiche si ritiene effettuato con modalità non commerciali se:

a) l’attività è paritaria rispetto a quella statale e la scuola adotta un regolamento che garantisce la non discriminazione in fase di accettazione degli alunni;

b) sono comunque osservati gli obblighi di accoglienza di alunni portatori di handicap, di applicazione della contrattazione collettiva al personale docente e non docente, di adeguatezza delle strutture agli standard previsti, di pubblicità del bilancio;

c) l’attività è svolta a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con lo stesso.

4. Lo svolgimento di attività ricettive si ritiene effettuato con modalità non commerciali se le stesse sono svolte a titolo gratuito ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e, comunque, non superiore alla metà dei corrispettivi medi previsti per analoghe attività svolte con modalità concorrenziali nello stesso ambito territoriale, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con il costo effettivo del servizio.

5. Lo svolgimento di attività culturali e attività ricreative si ritiene effettuato con modalità non commerciali se le stesse sono svolte a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di un corrispettivo simbolico e, comunque, non superiore alla metà dei corrispettivi medi previsti per analoghe attività svolte con modalità concorrenziali nello stesso ambito territoriale, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con il costo effettivo del servizio.

6. Lo svolgimento di attività sportive si ritiene effettuato con modalità non commerciali se le medesime attività sono svolte a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di un corrispettivo simbolico e, comunque, non superiore alla metà dei corrispettivi medi previsti per analoghe attività svolte con modalità concorrenziali nello stesso ambito territoriale, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con il costo effettivo del servizio.

Art. 5
Individuazione del rapporto proporzionale

1. Il rapporto proporzionale di cui al comma 3 dell’articolo 91-bis del citato decreto-legge n. 1 del 2012, è determinato con riferimento allo spazio, al numero dei soggetti nei confronti dei quali vengono svolte le attività con modalità commerciali ovvero non commerciali e al tempo, secondo quanto indicato nei commi seguenti.

2. Per le unità immobiliari destinate ad una utilizzazione mista, la proporzione di cui al comma 1 è prioritariamente determinata in base alla superficie destinata allo svolgimento delle attività diverse da quelle previste dall’articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo n. 504 del 1992, e delle attività di cui alla citata lettera i), svolte con modalità commerciali, rapportata alla superficie totale dell’immobile.

3. Per le unità immobiliari che sono indistintamente oggetto di un’utilizzazione mista, la proporzione di cui al comma 1 è determinata in base al numero dei soggetti nei confronti dei quali le attività sono svolte con modalità commerciali, rapportato al numero complessivo dei soggetti nei confronti dei quali è svolta l’attività.

4. Nel caso in cui l’utilizzazione mista, anche nelle ipotesi disciplinate ai commi 2 e 3, è effettuata limitatamente a specifici periodi dell’anno, la proporzione di cui al comma 1 è determinata in base ai giorni durante i quali l’immobile è utilizzato per lo svolgimento delle attività diverse da quelle previste dall’articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo n. 504 del 1992, ovvero delle attività di cui alla citata lettera i) svolte con modalità commerciali.

5. Le percentuali determinate in base ai rapporti che risultano dall’applicazione delle disposizioni di cui ai commi precedenti, indicate per ciascun immobile nella dichiarazione di cui al successivo articolo 6, si applicano alla rendita catastale dell’immobile in modo da ottenere la base imponibile da utilizzare ai fini della determinazione dell’IMU dovuta.

Art. 6
Dichiarazione

1. Gli enti non commerciali presentano la dichiarazione di cui all’articolo 9, comma 6, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, indicando distintamente gli immobili per i quali è dovuta l’IMU, anche a seguito dell’applicazione del comma 2 dell’articolo 91-bis, del decreto-legge n. 1 del 2012, nonché gli immobili per i quali l’esenzione dall’IMU si applica in proporzione all’utilizzazione non commerciale degli stessi, secondo le disposizioni del presente regolamento. La dichiarazione non è presentata negli anni in cui non vi sono variazioni.

Art. 7
Disposizioni finali

1. Entro il 31 dicembre 2012, gli enti non commerciali predispongono o adeguano il proprio statuto, a quanto previsto dall’articolo 3, comma 1, del presente regolamento.

2. Gli enti non commerciali tengono a disposizione dei comuni la documentazione utile al fine dello svolgimento dell’attività di accertamento e controllo, dalla quale risultano gli elementi rilevanti ai fini della individuazione dei rapporti percentuali che derivano dall’applicazione del presente regolamento.

Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

 

In data 19 dicembre 2012 la Commissione Europea ha ritenuto che la nuova disposizione, come attuata con il suddetto decreto n. 200 del 2012, è pienamente conforme alla normativa comunitaria sugli aiuti di Stato, “in quanto limita chiaramente l’esenzione agli immobili in cui enti non commerciali svolgono attività non economiche”.

Con la risoluzione 3 dicembre 2012, n. 1/DF(153) il Ministero, con riferimento all’applicazione delle disposizioni contenute negli articoli 3 e 7 del decreto 19 novembre 2012, n. 200 nei confronti degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, ha chiarito che “agli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti non sono applicabili le norme dettate dal codice civile in tema di costituzione, struttura, amministrazione ed estinzione delle persone giuridiche private”. Tuttavia, “seppure agli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti non possono essere richiesti né la predisposizione né l’adeguamento dello statuto, si ritiene che questi ultimi debbano, comunque, conformarsi alle disposizioni di cui all’articolo 3 del regolamento n. 200 del 2012” “con scrittura privata registrata. Tale documento, peraltro, rientra tra quelli che detti enti debbono tenere a disposizione dei comuni, ai fini dell’attività di accertamento e controllo, secondo quanto previsto dall’articolo 7, comma 2, del regolamento n. 200 del 2012.”

Con la stessa risoluzione n. 1/DF è stato anche chiarito che l’applicazione a decorrere dal 1° gennaio 2013 riguarda esclusivamente l’individuazione del rapporto proporzionale mentre i requisiti di non commercialità delle attività sono già applicabili per l’anno d’imposta 2012. Pertanto, il versamento dell’IMU per l’anno 2012, da effettuarsi a saldo entro il 17 dicembre 2012, deve considerare i requisiti generali e di settore stabiliti dagli articoli 3 e 4 del decreto n. 200 del 2012; a partire dall’anno d’imposta 2013, invece, si dovrà tenere conto, oltre che dei predetti requisiti, anche del rapporto proporzionale.

Successivamente lo stesso Ministero, con la risoluzione 4 marzo 2013, n. 3/DF(154), ha chiarito che:

l termine del 31 dicembre 2012 per l’approvazione o l’adeguamento dello statuto ai requisiti generali, previsti dall’art. 3 del decreto ministeriale n. 200 del 2012, per il riconoscimento della natura non commerciale dell’attività non è perentorio;

per quanto concerne i requisiti generali per la qualificazione dell’attività non commerciale, è possibile distribuire utili e avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitali durante la vita dell’ente non commerciale soltanto nei casi in cui la distribuzione è prevista dalla legge ovvero avviene a favore di un ente appartenente alla medesima e unitaria struttura ovvero che svolge o la stessa attività meritevole oppure una delle atre attività enumerate dalla lettera i) del comma 1 dell’art. 7 del decreto legislativo n. 504 del 1992. Mentre per quanto riguarda la devoluzione del patrimonio dell’ente non commerciale in caso di scioglimento dello stesso è possibile la devoluzione ad un altro ente non commerciale che svolga un’attività affine o omogenea o di sostegno all’attività istituzionale del primo, come ad esempio, l’attività di promozione della cultura che è inquadrabile nello stesso ambito dell’attività didattica rientrante nella predetta lettera i).

Con la successiva risoluzione 4 marzo 2013, n. 4/DF(155), il Ministero ha affermato che l’esenzione prevista dalla lettera i) del comma 1 dell’art. 7 del decreto legislativo n. 504 del 1992 spetta anche nel caso in cui non vi sia coincidenza tra soggetto possessore e soggetto utilizzatore del bene, purché l’ente non commerciale ceda l’immobile in comodato d’uso gratuito ad un altro ente non commerciale.

L’interpretazione ministeriale non appare convincente e si pone in contrasto con il principio generale, enunciato dalla giurisprudenza in materia di ICI (Corte Costituzionale, ordinanza 429 del 19 dicembre 2006(156); Corte Costituzionale, ordinanza n. 19 del 19 gennaio 2007(157); Corte di Cassazione, sez. trib., 30 agosto 2006, n. 18838(158); Corte di Cassazione, sez. trib., 7 agosto 2008, n. 21329(159); Corte di Cassazione, sez. trib., 3 settembre 2008, n. 22201(160); Corte di Cassazione, sez. trib., 17 ottobre 2008, n. 25376(161); Corte di Cassazione, sez. trib., 24 marzo 2010, n. 7091(162)), secondo il quale quando l’immobile è utilizzato da un soggetto diverso dal possessore dello stesso non è possibile riconoscere a quest’ultimo l’esenzione, e ciò indipendentemente dalla circostanza che all’ente concedente derivi un reddito (in conformità alla natura reale dei tributi in questione).

Inoltre, successivamente alla pronuncia giurisprudenziale (Corte di Cassazione, ordinanza n. 11427 del 30 maggio 2005(163)) utilizzata dal Ministero per giungere alle conclusioni contenute nella risoluzione n. 4/DF, la stessa Corte ha esaminato proprio il caso della gratuità della concessione del bene da parte dell’ente non commerciale. In particolare, con le sopra ricordate sentenze nn. 21329 e 22201 del 2008, la Corte di Cassazione ha affermato che non rileva la natura, gratuita od onerosa, della cessione del bene ad altri, in quanto il mancato utilizzo diretto del bene da parte del possessore preclude il riconoscimento della esenzione.

 

Ricostruita l’evoluzione legislativa, va ricordato che l’esenzione in oggetto spetta anche quando l’immobile non è utilizzato purché rientri nella disponibilità dell’ente non commerciale e sia destinato ad una delle attività di cui alla lettera i). Spetta l’esenzione, quindi, anche nel periodo nel quale si svolgono le opere necessarie per la effettiva utilizzazione dell’immobile per le finalità a cui è destinato. Ciò che rileva, infatti, non è l’utilizzo dell’immobile bensì la sua destinazione (Corte di Cassazione, sez. trib., 16 aprile 2008, n. 9948(164)).

Ancora, come chiarito dalla giurisprudenza (Corte di Cassazione, sez. trib., 17 settembre 2010, nn. 19731(165) e 19732(166)), ai fini della esenzione risulta irrilevante la categoria catastale del fabbricato, anche se non compatibile con l’attività istituzionale del soggetto passivo (nel caso in specie si trattava di fabbricati di categoria C/2, C/6 e C/7 utilizzati per attività istituzionale dell’INAIL).

Rimane ferma la non riconoscibilità dell’esenzione agli immobili utilizzati per le attività indicate nella lettera i) del comma 1° dell’art. 7 se l’utilizzatore è una società, non rientrando queste ultime nella richiamata lettera c) del comma 1 dell’ex art. 87 (ora art. 73) del T.U.I.R.; l’unica eccezione riguarda le società sportive dilettantistiche costituite in società di capitale senza fine di lucro alle quali, per effetto del comma 1, dell’art. 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, sono state estese le disposizioni tributarie riguardanti le associazioni sportive dilettantistiche.

 

Infine, va ricordato che, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità (tra le altre, Corte di Cassazione, sez. trib., 24 marzo 2010, n. 7091(167); Corte di Cassazione, sez. trib., 17 ottobre 2008, n. 25376(168) e Corte di Cassazione, sez. trib., 30 agosto 2006, n. 18838(169)), l’esenzione in oggetto può essere riconosciuta soltanto se vi è coincidenza tra possessore (titolare del diritto reale di godimento) e utilizzatore dell’immobile (l’immobile deve essere sia posseduto sia utilizzato dall’ente non commerciale). La tesi è stata affermata anche della Corte Costituzionale che l’ha ribadita, anche se in via incidentale, con le ordinanza n. 429 del 19 dicembre 2006(170) e n. 19 del 19 gennaio 2007(171).

La predetta interpretazione elimina il pericolo della possibile elusione dell’imposta, che si sarebbe avuta (qualora si fosse ritenuto sufficiente il semplice utilizzo da parte dell’ente non commerciale) nel caso in cui una società (ovvero un privato) conceda in comodato ovvero in locazione l’immobile ad un ente non commerciale che a sua volta lo destina ad una delle attività elencate nella lettera i) dell’art. 7. In questo caso, infatti, la società (ovvero il privato), benché è un soggetto al quale il legislatore non ha voluto riservare una particolare tutela escludendolo dall’esenzione del pagamento dell’imposta, di fatto avrebbe beneficiato della stessa.

 

Un approfondimento lo meritano gli immobili posseduti dall’ENEA, dagli IACP (o ATER) e dagli enti ecclesiastici, ciò in considerazione di quanto accaduto in materia di ICI e che potrebbe riproporsi per l’imposta municipale propria attesa l’identità dell’agevolazione.

Per quanto concerne l’ENEA (Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente) (ai sensi dell’art. 37 della legge 23 luglio 2009, n. 99, l’Ente è stato sostituito dall’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, anch’essa con l’acronimo di ENEA) negli anni è stata richiesta l’esenzione dall’ICI sostenendo che gli “scopi scientifici e di ricerca” perseguiti con la propria attività sono assimilabili a quelli “culturali” richiamati dalla lettera i). Su tale posizione si è espressa l’Amministrazione Finanziaria, con la risoluzione n. 247 dell’11 novembre 1996, sostenendo l’impossibilità del riconoscimento dell’esenzione in quanto la disposizione in questione rappresenta carattere eccezionale e, quindi, non suscettibile di interpretazione analogica.

Per quanto riguarda gli immobili di proprietà degli Istituti Autonomi per le case popolari, invece, è stata più volte sollevate la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 del decreto legislativo n. 504 del 1992 per la parte in cui non prevede l’esenzione dall’imposta per detti Istituti.

In particolare sono state lamentate le seguenti violazioni:

violazione dell’art. 3 (principio dell’uguaglianza) in quanto l’art. 7 prevede l’esenzione degli immobili di altri enti pubblici e non anche l’esenzione di quelli posseduti dagli IACP che sono enti strumentali delle Regioni;

violazione dell’art. 2 perché il fine istituzionale degli IACP è garantire il “bene casa” ai meno abbienti, finalità che sarebbe in concreto limitata e ostacolata dal pagamento dell’ICI;

violazione dell’art. 53 (capacità contributiva) perché il patrimonio degli IACP non produce reddito, i canoni di locazione sono fissati dalla legge e non coprono l’eventuale ICI dovuta, ne consegue che per assolvere al pagamento dell’ICI, gli IACP dovrebbero dismettere il proprio patrimonio. Il patrimonio degli IACP non è indice di capacità contributiva in quanto non è commerciabile e gli utili derivanti dalla sua gestione, detratte le spese, devono essere versati allo Stato;

violazione dell’art. 76 per eccesso di delega perché la legge delega (art. 4 legge n. 421 del 1992) prevedeva l’esenzione degli immobili destinati allo svolgimento di attività assistenziali e gli IACP svolgono attività a carattere prevalentemente assistenziale.

Oltre alle lamentate presunte violazioni costituzionali dell’art. 7 del decreto legislativo n. 504 del 1992, gli IACP hanno affermato di rientrare nell’esenzione disposta dalla lettera i) dello stesso art. 7 in quanto gli stessi non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali (rientrano quindi tra gli enti di cui all’art. 87 – ora 73, comma 1, lettera c) del Testo Unico delle Imposte sui Redditi approvato con DPR 22 dicembre 1996, n. 917) e i propri immobili sono destinati a scopi assistenziali. Inoltre, il canone di locazione percepito dagli IACP per gli alloggi di edilizia sovvenzionata non ha natura di corrispettivo e di sinallagmaticità del servizio prestato e il rapporto che scaturisce dalle assegnazioni è solo apparentemente analogo a quello privatistico della locazione perché permeato e connotato di profili pubblicistici rispetto ai quali il rapporto di diritto privato risulta affievolito e recessivo. Diverso è, invece, il caso dell’edilizia agevolata perché non ha la medesima destinazione e finalità assistenziale dell’edilizia sovvenzionata ma è, invece, paragonabile a quella delle cooperative edilizie a proprietà indivisa. Ne consegue che soltanto l’edilizia sovvenzionata è esente dal pagamento dell’ICI.

Tutte le tesi affermate dagli IACP non sono rigettate dalla giurisprudenza.

Per quanto concerne le presunte illegittimità costituzionali le questioni sono state ritenute infondate (Corte Costituzionale 7 ottobre 1993, n. 370(172); Corte Costituzionale 12 aprile 1996, n. 113(173) e Corte costituzionale 2 aprile 1999, n. 119(174)).

In particolare, la presunta violazione dell’art. 3 è stata ritenuta infondata in quanto l’art. 7 del decreto legislativo n. 504 del 1992 prevede l’esenzione degli immobili degli altri soggetti pubblici ma solo limitatamente a quelli destinati esclusivamente ai compiti istituzionali degli stessi; ne consegue che gli altri immobili di proprietà dello Stato, della Regione, dei Comuni, etc. non destinati esclusivamente a compiti istituzionali sono soggetti al pagamento dell’ICI.

Inoltre, la previsione di esenzioni rientra tra le discrezionalità attribuite al Legislatore non sindacabili da parte della Corte Costituzionale.

Altresì infondata è stata ritenuta la presunta violazione dell’art. 2 in quanto l’imposizione fiscale sulla casa, per il sol fatto di essere tale, non riverbera negativamente sul godimento del diritto alla casa.

Infondata è stata ritenuta anche la violazione dell’art. 53 in quanto, innanzitutto, l’ICI è un’imposta patrimoniale calcolata in misura predeterminata e non si basa su indici di produttività (il presupposto dell’imposta è il mero possesso dell’immobile e non la destinazione ai fini di lucro e quindi non si può evocare, ai fini ICI, il fine di pubblico interesse del soggetto passivo); inoltre i fabbricati producono reddito per il sol fatto di essere iscritti in catasto ed erano anche soggetti al pagamento dell’ILOR.

Quanto alla situazione gestionale degli IACP, va ricordato che l’art. 66, nono comma, del decreto legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito con modificazioni dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427 dispone l’adeguamento dei canoni di locazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, prevedendo, a tal fine, l’intervento delle regioni. Il CIPE, con la deliberazione 13 marzo 1995, ha tenuto conto della grave situazione finanziaria in cui versano gli IACP, anche a causa della mancata attuazione, da parte di molte regioni, del disposto dell’art. 66, nono comma, e ha dettato i criteri per la determinazione dei nuovi canoni, autorizzando gli enti gestori ad applicarli ove ancora manchino i provvedimenti regionali attuativi (punto 8 e, segnatamente, punto 8.7 della citata deliberazione CIPE). La Regione Lazio, ad esempio, ha stabilito che i canoni da corrispondere agli IACP sono calcolati secondo la legge 27 luglio 1978, n. 392 (cosiddetta legge dell’equo canone); ne consegue che gli IACP incassano dai propri inquilini lo stesso canone riscosso da tutti gli altri proprietari (pubblici e privati) che concedono in locazione i propri immobili ai sensi della legge sull’equo canone. Non si comprende, quindi, perché gli IACP dovrebbero essere esentati dal pagamento dell’ICI.

Infine anche la presunta violazione dell’art. 76 è stata ritenuta infondata perché la norma (art. 7 del decreto legislativo n. 504 del 1992) riporta esattamente quanto previsto nella delega.

Per quanto concerne, invece, la richiesta di esenzione ex art. 7, comma 1, lettera i) del decreto legislativo n. 504 del 1992, anch’essa è stata rigettata per i seguenti motivi:

gli immobili degli IACP sono destinati istituzionalmente alla locazione o, a condizione predeterminate dalla legge, alla vendita, attività queste assai diverse da quelle indicate nell’art. 7 del decreto legislativo n. 504 del 1992 e sicuramente, ai sensi dell’art. 2195 del codice civile, di natura commerciale;

oltre alla locazione e alla vendita degli immobili, gli IACP svolgono anche altre attività, quali, ad esempio, l’acquisto di immobili, l’accensione di mutui e prestiti, l’accettazione di eredità tutte attività cioè di natura commerciale; tali attività sono previste dallo statuto dell’IACP (art. 2) approvato con DPR 14 febbraio 1975, n. 226 e sono senz’altro attività commerciali ricompresse nell’art. 2195 del codice civile al quale l’art. 55 del TUIR rimanda per l’individuazione del reddito d’impresa;

il fatto che gli IACP devono affidare l’eventuale utile ad una gestione autonoma della Cassa Depositi e Prestiti non muta la natura dell’attività degli IACP da imprenditoriale (o a questa assimilabile ai fini fiscali) in assistenziale perché il riversamento dell’utile costituisce, invero, una forma di restituzione allo Stato dei fondi ricevuti (Corte costituzionale 2 aprile 1999, n. 119);

l’interpretazione letteraria (è l’unica possibile considerato, infatti, che trattasi di un’esenzione non sono possibili interpretazioni analogiche o estensive) dell’art. 7, comma 1, lettera i), porta a concludere che gli immobili in oggetto debbano essere utilizzati direttamente dagli enti non commerciali, mentre, nel caso in specie, gli IACP non li utilizzano direttamente ma è noto che sono utilizzati dai soggetti assegnatari degli stessi (Corte di Cassazione, sez. trib., 04 dicembre 2003, n. 18549).

Anche l’Amministrazione Finanziaria si è espressa per la mancata esenzione degli immobili posseduti dagli IACP (risoluzione 7 maggio 1997, n. 105/E(175)) affermando che gli IACP non godono di alcuna esenzione soggettiva ICI, ciò si desume sia dalle sentenze della Corte Costituzionale nn. 370 del 1993 e 113 del 1996 nonché dal comma 4 dell’art. 8 del decreto legislativo n. 504 del 1992 laddove, proprio nel presupposto della soggettività passiva ICI di tali istituti, viene riconosciuta la detrazione d’imposta per gli alloggi regolarmente assegnati dagli istituti medesimi.

L’esenzione in oggetto è subordinata alla duplice condizione dell’utilizzazione diretta da parte dell’ente possessore e dalla destinazione esclusiva ad attività non produttiva di reddito; pertanto, gli IACP e gli enti analoghi non godono dell’esenzione per gli immobili da essi posseduti e locati ai cittadini meno ambienti in forza di un contratto che prevede il pagamento di pigioni, sia pure inferiori a quelle di mercato, in quanto tale attività non soddisfa i predetti requisiti (Corte di Cassazione, sez. trib., 10 giugno 2005, n. 12341(176)).

La mancata esenzione per gli immobili dello IACP è stata ribadita dalla Corte di Cassazione, sez. unite, 26 novembre 2008, n. 28160(177) che ha affermato:

rimane insuperabile uno dei capisaldi sui quali si fonda l’interpretazione giurisprudenziale della norma sin qui affermatasi senza incertezze: l’uso diretto dell’immobile da parte dell’ente, quale condizione dell’esenzione concessa dalla norma in esame;

è esclusa l’esenzione nel caso di utilizzazione indiretta, ancorché assistita da finalità di pubblico interesse, come è nella ipotesi dell’attività di locazione degli immobili a terzi da parte dello IACP;

equiparare questo tipo di utilizzazione del bene proprio dello IACP all’utilizzazione diretta di un immobile da parte dell’ente, postulerebbe un intervento interpretativo che è impraticabile in materia di agevolazioni fiscali riservata alla discrezionalità del legislatore (principio della “stretta interpretazione”);

in questa prospettiva è irrilevante la “modifica normativa” introdotta alla lettera i) del comma 1 dell’art. 7 del decreto legislativo n. 504 del 1992 dall’art. 7, comma 2 bis, del decreto legge n. 203 del 2005 in quanto la stessa non influisce sulla condizione, sempre necessaria, che il bene sia utilizzato direttamente e immediatamente dall’ente

una conferma per altra via che effettivamente non spetti agli IACP l’esenzione prevista dalla lettera i) dell’art. 7 del decreto legislativo n. 504 del 1992 è data dal fatto che per tali enti è prevista dall’art. 8, comma 4, del medesimo decreto una riduzione di imposta: tale previsione mal si concilierebbe con una esenzione di carattere generale a fronte della quale sarebbe del tutto incomprensibile attribuire all’ente, se detta esenzione fosse allo stesso applicabile, una riduzione di imposta. Vero è che è stata proposta una interpretazione dell’agevolazione prevista dal citato art. 8 come circoscrivibile ai soli immobili IACP di edilizia agevolata, mentre per gli alloggi di edilizia sovvenzionata dovrebbe valere l’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lettera i). Tuttavia, nel silenzio della norma, si tratterebbe ancora una volta di una estensione per via esegetica di una agevolazione fiscale, cui osta il carattere derogatorio e straordinario della prevista esenzione;

comunque risolutiva in proposito è l’innovazione legislativa introdotta con il decreto legge n. 93 del 2008, convertito con modificazioni dalla legge n. 126 del 2008, che ha esentato dall’imposta anche gli immobili dello IACP. Il chiaro carattere innovativo della norma comprova che tali immobili non godevano di alcuna esenzione fino al 2007.

Il predetto orientamento è stato ancora una volta confermato dalla Corte di Cassazione, sez. trib., 28 settembre 2010, n. 20371(178).

 

IMU: Iacp e Ater immobili non equiparati all’abitazione principale

 

La problematica della possibilità del riconoscimento alle abitazioni regolarmente assegnate dagli Iacp e dagli Ater dell’aliquota prevista per le abitazioni principali si arricchisce di una importante pronuncia del giudice amministrativo. Il Tar per l’Abruzzo, infatti, con la sentenza n. 434 depositata lo scorso 13 agosto ha confermato che, per l’anno d’imposta 2012, agli immobili in oggetto spetta unicamente il riconoscimento della detrazione di € 200,00 non potendo godere dell’aliquota agevolata prevista per le abitazioni principali, in quanto non rientrano nella definizione di abitazione principale fornita dal legislatore. La conseguenza è che il Comune può legittimamente stabilire una aliquota superiore rispetto a quella fissata per le abitazioni principali.

Nessuna rilevanza ha, invece, la previsione dell’art. 1 del decreto legge n. 54 del 2013 che ha previsto anche per gli immobili in oggetto, al pari delle abitazioni principali, la sospensione della rata di acconto per l’anno 2013; ciò in quanto la predetta disposizione legislativa non ha efficacia retroattiva e, pertanto, si applica unicamente a partire dall’anno d’imposta 2013.

Le conclusioni dei giudici abruzzesi sono pienamente condivisibili.

Correttamente i giudici ricordano che le disposizioni legislative sull’Imu “contengono una puntuale definizione dell’abitazione principale, così come tutte le norme in tema di agevolazioni ed esenzioni fiscali - come è stato costantemente precisato dalla giurisprudenza (cfr., da ultimo e per tutti, Cass. Civ., Sez. trib., 7 febbraio 2013, n. 2925) - sono di stretta interpretazione e non sono suscettibili di applicazione analogica. Deve, pertanto, ritenersi che non sia consentito all’interprete estendere tale nozione fino a comprendervi degli immobili che non hanno le specifiche caratteristiche sopra indicate, cioè non siano l’unica unità immobiliare nella quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Va, invero, al riguardo osservato che proprietario degli immobili ERP regolarmente assegnati e soggetto passivo dell’imposta è l’ente di edilizia residenziale pubblica (ATER), mentre il rapporto che lega tale ente all’assegnatario dell’alloggio non è di concessione, ma di tipo locativo; per cui, gli alloggi in questione - come è già stato di recente già osservato da altro Tribunale (T.A.R.. Liguria, 3 luglio 2013, n. 992) - non rientrano nella nozione di abitazione principale sopra ricordata, in quanto tale nozione presuppone che il possessore sia anche il soggetto passivo dell’imposta, mentre tale circostanza non si verifica nel caso di specie, nella quale il soggetto passivo dell’imposta è diverso dal soggetto che in concreto utilizza stabilmente l’alloggio. Mentre, come già detto, è preclusa all’interprete la possibilità di applicare in via analogica tale normativa di favore ad una fattispecie del tutto diversa”.

Nonostante la natura degli immobili e la funzione sociale perseguita, in considerazione della espressa previsione di una apposita detrazione (che non significa equiparazione all’abitazione principale), non risulta neanche applicabile l’esenzione prevista per "gli immobili posseduti dallo Stato, nonché gli immobili posseduti, nel proprio territorio, dalle regioni, dalle province, dai comuni, dalle comunità montane, dai consorzi fra detti enti, ove non soppressi, dagli enti del servizio sanitario nazionale, destinati esclusivamente ai compiti istituzionali".

Inoltre, la rinuncia da parte dello Stato della riserva di gettito sui predetti immobili non è da intendersi effettuata a favore dell’Ater bensì a favore del Comune (come chiarito anche dal Ministero dell’economia e delle finanze con la nota 15 giugno 2012, n. 12507) il quale, compatibilmente con la propria situazione di bilancio, può prevedere una aliquota ridotta rispetto a quella di base. Senza dimenticare che la riserva d’imposta a favore dello Stato aveva carattere provvisorio ed ha oggi perso rilievo in ragione delle predette modifiche normative sopravvenute.

Infine, nessun rilievo ha la previsione contenuta nell’Ici di assimilazione degli alloggi in oggetto alle abitazioni principali, in quanto si tratta di disposizioni legislative diverse (basti pensare che l’abitazione principale nell’Imu è comunque soggetta all’imposta diversamente da quanto previsto per l’Ici a partire dall’anno d’imposta 2008). “In definitiva, tale argomento dedotto non tiene conto del fatto che l’IMU sperimentale non si pone in rapporto di stretta derivazione e consequenzialità rispetto all’ICI, per cui l’abrogata disciplina dell’ICI ha rilievo (anche a fini interpretativi) solo ove espressamente richiamata dalla nuova disciplina”.

 

Per quanto concerne, infine, gli immobili utilizzati dagli enti ecclesiastici, nel corso degli anni la giurisprudenza (tra le altre, Corte di Cassazione, sez. unite, 21 dicembre 2010, n. 25935(179); Corte di Cassazione, sez. trib., 8 marzo 2004, n. 4645(180) e Corte di Cassazione, sez. trib., 5 marzo 2004, n. 4573(181)) ha affermato che l’esenzione spetta soltanto se sono destinati alle attività indicate nella lettera a) dell’art. 16 della legge n. 222 del 1995 (esercizio del culto e cura delle anime, formazione del clero e dei religiosi, scopi missionari, catechesi ed educazione cristiana), mentre non può essere riconosciuta se gli stessi sono utilizzati per le attività elencate nella lettera b) dello stesso art. 16 (attività diverse da quelle di religione o di culto: quelle di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura e, in ogni caso, le attività commerciali o a scopo di lucro).

In particolare, gli immobili appartenenti ad enti ecclesiastici e destinati prevalentemente e non occasionalmente ad attività commerciale (ad. es. la casa di cura e il pensionato per donne anziane o studentesse), non sono esenti in quanto rientrano nella lettera b) dell’art. 16 della legge n. 222 del 1995 e non nella lettera a). Ciò che rileva ai fini dell’esenzione, infatti, non è la natura dell’Ente, bensì l’attività in concreto esercitata, con conseguente applicazione dell’esenzione soltanto agli immobili utilizzati per lo svolgimento delle attività istituzionali.

In merito il Legislatore, con il decreto legge 17 agosto 2005, n. 163 (il decreto non è stato convertito in legge), aveva previsto l’estensione dell’esenzione anche agli immobili utilizzati dalla chiesa cattolica per le attività indicate nella lettera b) della legge 20 maggio 1985, n. 222, anche se svolte in forma commerciale purché connesse a finalità di religione o di culto.

Infatti, l’art. 6 del decreto legge richiamato disponeva che: “L’esenzione prevista dall’articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, e successive modificazioni, si intende applicabile anche nei casi di immobili utilizzati per le attività di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura di cui all’articolo 16, primo comma, lettera b), della legge 20 maggio 1985, n. 222, pur svolte in forma commerciale se connesse a finalità di religione o di culto.”.

La predetta disposizione, però, non è stata convertita in legge; pertanto, come sopra ricordato, a dette attività continua a non essere riconoscibile l’esenzione in oggetto.

 

 

Accademia nazionale dei lincei

L’Accademia nazionale dei lincei è esente da Ici, e quindi anche dall’Imu, solo se gli immobili da essa utilizzati sono destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive. A nulla vale la norma speciale che disponeva l’esenzione da ogni imposta o tassa generale o locale, presente o futura, salvo espressa deroga legislativa.

È quanto stabilito dalla Corte di cassazione con la sentenza 27 febbraio 2013, n. 4888(182), che ha respinto il ricorso dell’Accademia avverso la decisione del giudice tributario regionale che aveva accolto il ricorso di un comune avverso l’impugnazione di un avviso di accertamento Ici per l’anno 2006, relativo ad un immobile per uso alberghiero di proprietà dell’Accademia stessa che era stato ceduto in locazione.

La Corte, seguendo la scia di precedenti sentenze, ha ritenuto venuta meno, l’esenzione riconosciuta all’Accademia nazionale dei lincei dall’art. 3 del dlgs luogotenenziale 28 settembre 1944, n. 359, a norma del quale la stessa «è esente da ogni imposta o tassa generale o locale, presente o futura, salvo espressa deroga legislativa».

I dubbi nascevano dal fatto che l’Ici è stata istituita successivamente all’art. 3 e nel dlgs 30 dicembre 1992, n. 504 che disciplina il tributo comunale, non vi sono disposizioni che derogano espressamente a detta norma di esenzione.

In buona sostanza la Corte ha ritenuto che potessero essere svolte in relazione all’Ici le stesse considerazioni che la hanno indotto in passato con le sentenze n. 7166 del 16 maggio 2002, n. 10490 del 3 luglio 2003, e n. 18964 del 20 novembre 2003, a negare l’operatività di questa norma speciale in materia di imposte di registro, ipotecarie e catastali e con la sentenza n. 2963 del 2006 anche in materia di Invim.

Ed infatti, poiché con la nuova imposta comunale in materia di esenzioni è stato costruito un sistema per categorie di diversa natura, dotato di una significativa articolazione, che comprende «anche ipotesi soggettive che astrattamente si attagliano all’Accademia dei Lincei», tutto ciò ha indotto la Corte a «ritenere che il catalogo fissato con il dlgs n. 504 del 1992, art. 7 e poi con le successive modificazioni, sia esaustivo, e quindi incompatibile, alla stregua dell’art. 15 preleggi, con l’esenzione personale riconosciuta dal dlgs lgt. n. 359 del 1944, art. 3».

Per cui, conclude la Cassazione «il dlgs n. 504 del 1992, con riguardo alla disciplina del tributo in esame e in seno a essa al sistema delle esenzioni, in quanto dotato della stessa forza di legge del provvedimento con il quale era stata anteriormente riconosciuta l’esenzione personale in discorso, è dunque in grado di abrogare tacitamente la legge anteriore, per incompatibilità, in relazione all’imposta comunale sugli immobili».

Naturalmente queste conclusioni hanno un immediato effetto anche sull’Imu, che è nata dalle ceneri dell’Ici, per cui si può agevolmente concludere, prendendo le mosse dalle parole della Corte di cassazione, che l’Accademia nazionale dei lincei che è un’istituzione di alta cultura ai sensi del dm 2 agosto 2001, ed un ente di alto rilievo ai sensi del dpcm 6 aprile 2006, può rientrare nel novero degli enti commerciali ai quali l’art. 7, comma 1, lettera i), del dlgs n. 504 del 1992, accorda l’esenzione dall’Ici e l’art. 9 comma 8, del dlgs 14 marzo 2011, n. 23 - che ad esso opera rinvio - riconosce l’esenzione dall’Imu, solo se sussistono le condizioni ivi previste e cioè che gli immobili utilizzati direttamente dall’Accademia siano destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive previste dalla norma.

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