2.2.2.3. l’area edificabile pertinenziale all’abitazione |
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Quando un’area edificabile è destinata a pertinenza dell’abitazione, parte della giurisprudenza di legittimità (tra le altre, Corte di Cassazione, sez. trib., 17 dicembre 2003, n. 19375(21); Corte di Cassazione, sez. trib., 26 agosto 2004, n. 17035(22); Corte di Cassazione, sez. trib., 16 marzo 2005, n. 5755(23); Corte di Cassazione, sez. trib., 25 marzo 2005, n. 6505(24); Corte di Cassazione, sez. trib., 13 luglio 2007, n. 15739(25) e Corte di Cassazione, sez. trib., 12 marzo 2008, n. 6725(26)) ha ritenuto che per detta area, anche se censita autonomamente in catasto, non è dovuta l’imposta. La predetta giurisprudenza, oltre a non considerare che l’area fabbricabile pertinenziale all’abitazione ha residua capacità edificatoria, motiva le proprie affermazioni con riferimento al concetto civilistico, e non urbanistico, di pertinenza. Il concetto di “pertinenza urbanistica o edilizia” infatti è parzialmente difforme rispetto a quello di “pertinenza civilistica” e di cui all’art. 7 del C.C. La pertinenza urbanistica, ad esempio, è preordinata ad un’oggettiva esigenza del fabbricato cui afferisce, non è valutabile in termini di cubatura ovvero è dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione alle caratteristiche dell’immobile, una sua destinazione autonoma e diversa da quella pertinenziale allo stesso (c.d. “pertinenzialità per natura”) e, soprattutto, deve essere priva di un autonomo valore di mercato, cosa che non avviene nel caso delle aree edificabili dove si è sviluppato addirittura un c.d. “mercato degli indici” con la cessione a terzi della capacità edificatoria del proprio terreno. Al riguardo l’Agenzia delle entrate ha precisato che per aversi la pertinenzialità, le aree scoperte devono risultare censite al Catasto urbano insieme al bene principale (c.d. “graffatura”). Un’area che è autonomamente censita in Catasto terreni non può essere considerata pertinenza di un fabbricato urbano, anche se durevolmente destinata al suo servizio (Circolare n. 38/E del 12 agosto 2005(27) e Risoluzione n. 32/E del 16 febbraio 2006(28)). Detta interpretazione è rinvenibile anche in altra giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione, sez. trib., 23 settembre 2004, n. 19161(29)) che ha sostenuto l’imponibilità, come area edificabile, di un’area scoperta adiacente ad un fabbricato e già asservito a questo ma stralciata mediante apposito frazionamento prima della sua vendita ad altro soggetto; secondo la Corte, infatti, a seguito del frazionamento, l’area non può più essere considerata “pertinenza” dell’edificio, avendo lo stesso comportato necessariamente una modifica della destinazione d’uso e della natura pertinenziale dell’area medesima. Successivamente sulla questione è intervenuta ancora una volta la Cassazione (Corte di Cassazione, sez. trib., 11 settembre 2009, n. 19638(30)) affermando che la distinta iscrizione in catasto dell’area rispetto al fabbricato per la quale rappresenta la pertinenza non rileva ai fini del pagamento dell’imposta; in particolare, afferma la Corte, ciò che conta è la pertinenzialità di fatto che, laddove sussiste, ha come conseguenza l’esclusione dall’imposta. Detta pertinenzialità, però, deve evincersi dalla dichiarazione del contribuente, in mancanza della quale non è riconosciuta l’agevolazione. E qualche settimana dopo, la stessa Corte (Corte di Cassazione, sez. trib., 30 novembre 2009, n. 25127(31)) ha affermato anche che non è sufficiente la mera recinzione del terreno insieme al fabbricato per dimostrare la pertinenzialità. Secondo la Corte “a lume di buon senso, basta osservare che qualsiasi costruttore che intenda realizzare una pluralità di immobili su suoli contigui di sua proprietà, dopo averne realizzato uno, in attesa di realizzare gli altri, potrebbe tranquillamente sfuggire al prelievo fiscale sui suoli circostanti edificabili, con la semplice realizzazione di una recinzione comprendente tutta la zona da edificare”. Oltre che sul piano logico, la Corte afferma che anche sul piano giuridico la mera costruzione di una recinzione non realizza “un vincolo di asservimento funzionale o ornamentale” come, invece, previsto dall’art. 817 del c.c. che dispone: “sono pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un’altra cosa”. Pertanto, “il fatto che sia stata autorizzata la costruzione di una recinzione non prova assolutamente nulla” ai fini del riconoscimento della pertinenzialità. “Inoltre, il muro di recinzione, di per sé, in mancanza della prova di un vincolo sostanziale (di asservimento funzionale o ornamentale) non è sintomatico di un collegamento durevole, in quanto può essere abbattuto in ogni momento. In materia fiscale, attesa la indisponibilità del rapporto tributario, la prova dell’asservimento pertinenziale, che grava sul contribuente, deve essere valutata con maggior rigore rispetto alla prova richiesta nei rapporti di tipo privatistico. Se la scelta pertinenziale non è giustificata la reali esigenze (economiche, estetico o di altro tipo) non può avere valenza tributaria, perché avrebbe l’unica funzione di attenuare il prelievo fiscale, eludendo il precetto che impone la tassazione in ragione della reale natura del cespite”. “In altri termini, perché un’area fabbricabile perda il (plus)valore costituito appunto dalla edificabilità, occorra che intervenga una oggettiva e funzionale modificazione dello stato dei luoghi che sterilizzi, in concreto e stabilmente, lo ius edificandi, che non si risolva quindi in un mero collegamento materiale rimovibile ad libitum”. Successivamente la stessa Corte (Corte di Cassazione, sez. trib., 29 ottobre 2010, n. 22128(32)), nel confermare il predetto orientamento, ha anche affermato che non si può ammettere a priori ed in via generica (senza, cioè, una verifica concreta caso per caso) una definizione di pertinenza considerando tale “qualsiasi area edificabile limitrofa” ad un fabbricato “sol perché considerata, od anche semplicemente utilizzata, dal proprietario del fabbricato a giardino: a prescindere alla insussistenza di una qualche nozione, se non giuridica, almeno tecnico - scientifica di giardino sulla cui base operare una qualificazione corretta (ben potendosi ritener tale anche un’area semplicemente affidata alla vegetazione spontanea del luogo), detto uso, infatti, in carenza di ulteriori elementi concreti, non depone affatto per la sussistenza di un sicuro e durevole asservimento dell’area, nonostante la sua vocazione edificatoria (e, quindi, la lievitazione del suo valore economico), al servizio od all’ornamento dell’edificio (come richiede l’articolo 817 cod. civ.) né, ancora e soprattutto, che il valore di quell’area (perché e proprio perché asservita) sia stato considerato ai fini di determinare quello (catastalmente rilevante) del fabbricato cui si assume pertenere: cioè, come vuole la norma, che la pertinenza costituisca (fiscalmente) parte integrante del fabbricato”. Con la stessa sentenza è stato anche affermato che la natura edificabile del terreno non viene meno né si riduce con l’esistenza sullo stesso di servitù perché la natura edificatoria “deriva dallo strumento urbanistico, cioè dall’atto con cui si realizza l’interesse pubblico all’ordinato sviluppo del territorio”, infatti, “anche il giudice, allorché emette una sentenza costitutiva di una servitù di passaggio coattivo, deve evitare che il suo comando si ponga in contrasto con norme di carattere imperativo come quelle stabilite dalle leggi urbanistiche e dai piani regolatori che pongano limiti o divieti all’esecuzione delle opere necessarie per la costituzione e/o l’esercizio della servitù”. “Il vincolo incidente sulla concreta edificazione dello stesso, tenuto conto della sua origine privata, è idoneo, semmai, unicamente ad influenzare il valore commerciale dello stesso suolo”. “In ordine a tal valore, però, va comunque evidenziato che: (1) un’area edificabile, quand’anche costituente pertinenza di un fabbricato e/o comunque soggetta a servitù private escludenti la sua edificazione, è sempre e comunque suscettibile (nel concorso delle altre necessarie condizioni) di “asservimento” (ovverosia di giuridica destinazione), anche per impegno privato, all’edificazione di altra area” “(2) tutte le servitù (anche quelle coattive) hanno un valore economico, sia per la costituzione come per la liberazione del fondo, per cui la loro presenza non costituisce mai ostacolo giuridico all’edificazione del bene gravato”. Successivamente sempre la Suprema Corte (Corte di Cassazione, sez. VI, 19 giugno 2012, n. 10090(33)), nel confermare i principi enunciati nelle ultime richiamate pronunce (pertinenza ex art. 817 del codice civile, obbligo di dichiarazione, modifica dello stato dei luoghi), ha precisato che, ai fini del riconoscimento della pertinenzialità, non è sufficiente che la stessa sia stata dichiarata nell’atto pubblico di vendita e/o nel contratto di locazione ovvero che l’area sia delimitata da sbarre che richiamano l’utilizzo a posteggio. Ciò in quanto, le qualificazioni espresse in atti contrattuali non attengono allo stato dei luoghi e sono irrilevanti; mentre la delimitazione della porzione di suolo con la sbarra riguarda si la conformazione dello stato dei luoghi ma, poiché una sbarra di chiusura di un’area è rimuovibile ad libitum, non si è in presenza di una radicale trasformazione dell’area idonea a sterilizzare in concreto e stabilmente lo ius edificandi. Infine, la Corte di Cassazione con l’ordinanza 9 maggio 2014, n. 10176(34) ha affermato che un’area edificabile accorpata al fabbricato non può essere assoggettata a imposizione autonomamente; i due immobili, infatti, hanno un’unica rendita catastale. La rendita costituisce l’unico parametro per determinare la base imponibile. In questi casi non può essere preso a base di calcolo il valore di mercato dell’area, ancorché la stessa abbia un’autonoma capacità edificatoria e possa essere in qualsiasi momento scorporata e ceduta. |